Opera conosciuta in tutto il mondo, la Divina Commedia ha segnato la storia della letteratura italiana, ma non solo: il capolavoro di Dante ha un ruolo fondamentale nella storia della lingua italiana. Sapevi che molti modi di dire che magari usi spesso derivano proprio dalle Cantiche di Dante?
Vediamo insieme 10 modi di dire di uso comune che derivano dall’Inferno di Dante.
“Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”
Il nono verso del Canto III fa riferimento all’iscrizione posta sulla porta dell’Inferno: la frase “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate” è usata oggi spesso in tono scherzoso, per riferirsi a situazioni ostiche o ambienti disagiati.
“Stai fresco”
“Stare freschi” ha oggi il significato di “Andrà a finire male” (“Siamo a posto!”, con tono ironico): sapevi che in realtà viene dalla Divina Commedia? Il modo di dire rielabora il verso 117 del Canto XXXII dell’Inferno (là dove i peccatori stanno freschi), in cui si descrive il lago di Cocito, in cui i peccatori sono immersi nel ghiaccio (la percentuale di corpo sommersa nel ghiaccio è direttamente proporzionale alla gravità del peccato commesso). Come nel caso precedente (e, come vedremo, anche per la maggior parte dei modi di dire che seguiranno), “stare freschi” viene oggi utilizzato anche in situazioni sicuramente meno tragiche di quella originale!
“Galeotto fu…”
Paolo e Francesca: una delle storie d’amore (dannate) più famose e amate dai lettori. Il 37esimo verso del Canto V, Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, è entrato a far parte del linguaggio comune: declinandola nei vari contesti, questa frase viene oggi utilizzata per sottolineare la causa scatenante di una qualsiasi situazione (non necessariamente amorosa, spesso in tono ironico). Una curiosità: il termine Galeotto indicava un nome proprio (trascrizione dell’originale Galehaut), e va quindi scritto con la maiuscola (da non confondersi con “galeotto” nell’accezione di detenuto, delinquente). Il nome sottolinea il ruolo di intermediario avuto dal libro nella relazione tra Paolo e Francesca, riferendosi allo stesso ruolo avuto da Galehaut nell’amore tra Lancillotto e Ginevra.
“Senza infamia e senza lode”
“Bene, ma non benissimo”, si direbbe oggi. L’espressione “Senza infamia e senza lode” viene utilizzata per indicare un qualcosa che non è degno di nota, né in bene né in male, e ha pertanto un tono neutro. Non si può certo dire lo stesso per l’originale dantesco (Inf., Canto III, v. 36, che visser sanza infamia e sanza lodo), che stava a indicare l’atteggiamento degli ignavi e la loro gravissima colpa, cioè quella di non aver preso una posizione in vita.
“Non ragioniam di loro, ma guarda e passa”
Ed è sempre al girone degli ignavi che dobbiamo un’altra espressione ormai di uso comune: proprio a causa della natura non degna di nota di tali peccatori, Virgilio suggerisce a Dante di non curarsi di loro, ma di continuare nel cammino. Non ragioniamo di loro, ma guarda e passa (Inf., Canto III, v. 51) si utilizza per quelle situazioni (o persone o cose) per cui non vale la pena perder tempo.
“Fa tremar le vene e i polsi”
Usata per riferirsi a qualcosa che causa molta paura, terrore, l’espressione “fa tremar le vene e i polsi” riprende le parole del v. 90 del Canto I dell’Inferno (ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi): Dante, nella selva oscura “selvaggia e aspra e forte” incontra una lupa, che lo terrorizza e gli fa chiedere aiuto a Virgilio.
“Non mi tange”
Quante volte vi è capitato di usare o sentire questa frase, in riferimento a situazioni che non destano interesse? “Non mi importa”, “Non mi interessa”. Anche questa espressione deriva da un verso della Divina Commedia. Ci troviamo nel Canto II, al v. 92, che la vostra miseria non mi tange: a parlare è Beatrice, che ordina a Virgilio di accompagnare Dante nella prima parte del suo viaggio. Il verso parla di come Beatrice possa stare nella sofferenza (“miseria”) senza che essa la tocchi e la corrompa (“tange”): anche in questo caso, una frase oggi usata anche in tono scherzoso indicava in origine un tema molto serio e caro al Poeta.
“Cosa fatta capo ha”
Questo modo di dire è il risultato dell’inversione di un verso dell’Inferno: Capo ha cosa fatta (Canto XXVIII, v. 107). La frase, nell’originale, è pronunciata da Mosca dei Lamberti, il quale (secondo la leggenda dell’epoca di Dante) aveva convinto la famiglia degli Amidei a vendicarsi di Buondelmonte: dallo scontro, molto grave, sarebbe poi scaturita la sanguinosa divisione in Guelfi e Ghibellini. Oggi la frase significa che un’azione, quando viene compiuta, ha sempre un fine, uno scopo (un “capo”, appunto), mentre l’indugiare non porta a nulla.
“Fatti non foste a viver come bruti”
L’espressione proverbiale “Fatti non foste a viver come bruti” è usata oggi come esortazione a vivere come uomini e non come bestie, a darsi un contegno degno della condizione in cui si è. Ma da dove viene? L’originale si trova nel Canto XXVI dell’Inferno di Dante, e viene pronuniciata da Ulisse: Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza (vv. 119-120). Il condottiero incita con tali parole i suoi compagni a seguirlo nell’impresa di attraversare le colonne d’Ercole (stretto di Gibilterra), considerate allora come il confine del mondo.
“Il bel Paese”
L’Italia è conosciuta in tutto il mondo anche come “Bel Paese”, a causa del clima e della profonda cultura letteraria e artistica che la caratterizzano. L’espressione si trova nel Canto XXXIII dell’Inferno di Dante, al v. 80: del bel paese là dove ‘l sì suona. Utilizzata anche da Petrarca nel Canzoniere, nell’opera dantesca la definizione dell’Italia è completata da “dove ‘l sì suona”, che significa “dove si parla la lingua del sì” (come da tripartizione effettuata proprio da Dante nel De Vulgari Eloquentia: lingua del sì in Italia, lingua d’oïl nella Francia del Nord e lingua d’oc nella Francia del Sud, rispettivamente italiano, francese e occitano).
E tu, hai mai usato qualcuna di queste espressioni?
#conBignamièpiùfacile